Christopher Nolan firma il biopic sul più discusso scienziato del ventesimo secolo: Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. E mentre ci trasporta al tempo della Seconda Guerra Mondiale, non fa sconti a nessuno, regalando una pellicola notevole, anche se non perfetta, ultrafavorita ai prossimi Oscar, ma soprattutto un atto d’accusa verso gli Stati Uniti.
Trama, trailer, recensione con analisi del film e curiosità.

Film: Oppenheimer
Titolo originale: Oppenheimer
Nazionalità: USA/Regno Unito
Anno: 2023
Durata: 180 minuti
Genere: Drammatico; biografico; storico
Regia: Christopher Nolan
Sceneggiatura: Christopher Nolan
Dal libro “American Prometheus“, di Kai Bird e Martin J. Sherwin.
Fotografia: Hoyte van Hoytema
Musiche: Ludwig Göransson
Cast: Cillian Murphy, Robert Downing Jr., Emily Blunt, Matt Damon.
Sito dedicato al film: https://www.oppenheimer-ilfilm.it/
- Trama di Oppenheimer
- Trailer
- Recensione di Oppenheimer
- Curiosità sul film
- La spiegazione del finale di Oppenheimer
- La sceneggiatura completa di Oppenheimer
Trama
Cambridge, 1926: il giovane Robert Oppenheimer (Cillian Murphy), dottorando in fisica, è tormentato da immagini di lampi e fuoco, che lui definisce “visioni di un mondo nascosto“: il mondo subatomico. Su consiglio di Niels Bohr (Kenneth Branagh) si dedica alla fisica teorica, studiando in Olanda e Germania.
Negli anni successivi, Oppenheimer sposa Kitty (Emily Blunt) e si appassiona alla meccanica quantistica, nuova, rivoluzionaria branca della fisica, arrivando a insegnarla nelle prestigiose università americane. Mentre in Europa Hitler invade la Polonia, si diffonde la notizia della scoperta della fissione atomica. Oppenheimer comprende che la reazione a catena può essere usata per creare un’arma incredibilmente potente, mai vista prima: la bomba atomica. Ossessionato dal terrore che Hitler possa svilupparla per primo con l’aiuto di Heisenberg, accetta la proposta del generale Groves (Matt Damon) di dirigere il Progetto Manhattan per battere i nazisti sul tempo.
Oppenheimer realizza la bomba con successo, ma terminata la guerra iniziano i guai…
Trailer
Guardalo qui.
Recensione di Oppenheimer con analisi del film
Dopo il discutibile “Tenet“, uscito in piena pandemia e rivelatosi un esercizio di stile freddo come l’iceberg che affondò il Titanic, Christopher Nolan torna alla ribalta con un biopic su Robert Oppenheimer, fisico del ventesimo secolo, citato nei libri di storia con i più svariati nomi: padre della bomba atomica, Prometeo americano, distruttore di mondi. Un personaggio che non passa inosservato, insomma. Infatti, troneggia con la sua “creatura” nella locandina del film, dove appare quasi a suo agio tra le fiamme dell’olocausto nucleare, come un ipotetico colonnello di un nuovo Apocalipse Now.
Ciak, si gira un biopic
I biopic sono un terreno minato per i registi.
Raccontare la storia di una persona realmente vissuta non è facile: la vita non è un romanzo, men che meno quella di uno scienziato. Cosa c’è di avvincente nel guardare un tizio che scrive equazioni sulla lavagna o conduce esperimenti di laboratorio in una squallida stanza con indosso un camice macchiato di caffè?
Vent’anni prima di Nolan un altro cineasta di Hollywood si era posto la stessa domanda: si trattava di Ron Howard, regista di “A Beautiful Mind“, biopic del 2001 sul matematico John Nash, interpretato da un ispirato Russell Crowe.
Sfruttando abilmente i pochi elementi a disposizione – la Seconda Guerra Mondiale, la genialità di Nash e la schizofrenia che gli causava allucinazioni – Howard aveva confezionato una pellicola di alto livello, dando origine al filone dei film con protagonisti scienziati geniali e un po’ folli. Dalla “soluzione Howard” è discesa la caratterizzazione di Robert Langdon, esperto di simbologia de Il Codice da Vinci, poi del matematico enfant prodige della serie TV Numb3rs, per arrivare di recente al ” buon dottore” autistico del medical drama “The Good Doctor”.
Nolan è stato fortunato. Nella vita di Oppenheimer c’erano tutti gli elementi per confezionare non soltanto una storia avvincente ma la classica storia che “spacca”. Stiamo infatti parlando del direttore del Progetto Manhattan, voluto dagli USA negli anni ’40 per la costruzione della prima bomba atomica della Storia.
Dotato di un’intelligenza geniale, del fascino del donnaiolo e di forti capacità immaginative, Robert Oppenheimer visse nel crocevia di tre momenti storici fondamentali:
- la nascita della meccanica quantistica, via di accesso al mondo delle forze primordiali dell’universo;
- la scoperta della fissione atomica, capace di sprigionare una quantità di energia come non si era mai vista prima;
- lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e la minaccia nazista.
In più, gli USA degli anni ’40 e ’50 soffrivano di una crescente ossessione verso l’Unione Sovietica: di lì a poco sarebbero scivolati nella caccia alle streghe del Maccartismo.
Oppenheimer era il classico genio un po’ folle, vissuto in un periodo folle in un mondo ancora più folle.
Tutti questi elementi diventano, nella sceneggiatura di Nolan, i pilastri su cui si regge il film.
Dapprima celebrato per aver donato all’umanità il potere del fuoco nucleare, rubato agli Dèi come faceva il Prometeo della mitologia greca, Oppenheimer fu in seguito accusato di essere una spia sovietica.
Così, quello che poteva essere un “banale” biopic di un personaggio stranoto si trasforma in un giallo, con un delitto, un colpevole e un movente. Un giallo a sfondo politico e con un ritmo da thriller.
Poste le basi a Nolan non restava che essere sé stesso e giocare con la storia e con il pubblico.
Stavolta gli sarà riuscito il trucco? Vediamo.
Il puzzle dell’intreccio
Oppenheimer si basa sulla biografia Premio Pulitzer scritta da Kai Bird e Martin Sherwin e restituisce un’immagine cubista dello scienziato, riprendendolo da più punti di vista, mentre ne segue le vittorie e le sconfitte.
Il film dura tre ore, un’ora per ogni atto del dramma dello scienziato.
La storia si dipana lungo tre linee narrative.
La prima linea narra la vita dello scienziato, prima, durante e dopo il progetto Manhattan.
Nella seconda linea siamo nel 1954 e assistiamo ai colloqui della commissione che decise la sorte di Oppenheimer, sottoponendolo a umiliazioni e a una considerevole pressione come non si vedeva dai tempi dell’Inquisizione Spagnola.
La terza linea è ambientata nel 1959 e mostra il Senato americano riunito per decidere in merito alla carriera di un certo Lewis Strauss, già presidente della Commissione per l’Energia Atomica, la cui colpa è aver avuto Oppenheimer sotto la sua direzione a Princeton.
Non c’è alcuno spoiler: Nolan presenta i tre piani narrativi fin dall’incipit, prendendo in contropiede lo spettatore.
Ormai lo sappiamo: Christopher Nolan ama giocare col tempo nelle sue storie e ci tiene a impressionare il pubblico con azzardati montaggi, che avranno dato grandi mal di testa al povero operatore.
Lo ha fatto in Memento, quando, nella successione di scene del film, la fine della scena N era l’inizio della scena N-1.
Lo ha rifatto in Inception, strutturando l’universo dei sogni come una matrioska tale che in ogni livello il tempo scorreva a un ritmo N volte più lento di quello del livello precedente.
Lo ha ripetuto in Dunkirk, dove una settimana di avvenimenti sulla terraferma corrispondeva, dal punto di vista del montaggio, a una settimana vissuta in mare e infine a un’ora di combattimenti in cielo.
Così, in Oppenheimer, Nolan ha preso le tre linee narrative, le ha tagliate in scene brevi e concise quanto i frame di un videoclip di Beyoncé, probabilmente le ha anche triturate e aromatizzate con qualche erba rubata dalla cucina di Masterchef, quindi le ha montate in modo che l’incrocio di flashback e flashforward sulle tre dimensioni della storia determinasse un racconto lineare.
Ogni flashforward spiega quanto mostrato nel flashback che lo precede e a sua volta il flashback mostra quanto anticipato dal flashforward che lo precede. Più o meno. Non sempre il trucco è riuscito, soprattutto nel primo tempo.
“Tu non puoi commettere il peccato e poi chiederci di soffrire per te tutte le conseguenze!”.
Nolan, insomma, ha fatto di nuovo ricorso a una struttura cervellotica, creando stavolta un impianto che rende Oppenheimer un ibrido tra Memento e Dunkirk. Non contento, ad alcune sequenze ha dato i colori, altre le ha ingessate nel bianco e nero.
Le scene a colori raccontano la storia come l’ha vissuta Oppenheimer, da essere umano dotato di emozioni: la soggettività degli eventi.
Le parti in bianco e nero, invece, mostrano l’oggettività, i fatti nudi e crudi così come riportati dalle cronache dell’epoca o dalla biografia su cui si basa la sceneggiatura.
La scelta nasce dal desiderio del regista di rendere più fruibile la visione del film. Siccome però Nolan è anche furbo, ne ha approfittato per farla apparire come un’innovazione tecnologica convincendo la Kodak a fabbricare una cinepresa IMAX bianco e nero apposta per lui. Date una medaglia a quest’uomo!
La vicenda scorre non senza anteprime degli sviluppi futuri, con alcuni elementi che tornano sovente nel flusso dei fotogrammi: le gocce di pioggia che impiattano una pozza d’acqua; il misterioso dialogo tra Oppenheimer e Einstein avvenuto a Princeton nel dopoguerra: Nolan posiziona lo scambio di battute nei primi minuti del film ma ne omette il contenuto, lasciando Lewis Strauss, e il pubblico, in preda all’ossessione di sapere cosa si siano detti di così importante.
L’ossessione di Nolan
Come già segnalato in precedenza, l’ossessione è una costante nella cinematografia di Nolan.
In Following seguivamo la vicenda di un romanziere ossessionato dalla ricerca dell’ispirazione.
Il protagonista smemorato di Memento era ossessionato dal desiderio di vendicare l’assassinio della moglie; i due illusionisti di The Prestige si consumavano dietro l’ossessione del trucco del teletrasporto e della sfida fra loro; in Interstellar l’astronauta viveva con il chiodo in testa dei figli lontani e l’ossessione per il tempo che glieli portava via, dilatato all’inverosimile dagli effetti gravitazionali del buco nero. Anche il Batman di Nolan ha le sue ossessioni.
In Oppenheimer Nolan potenzia l’ossessione dei personaggi e ne sparge anche sul mondo intero.
Lo scienziato è assediato da quelle che definisce “visioni di un mondo nascosto“, il mondo subatomico, dalla frenesia di costruire la bomba prima dei nazisti e dalle sue stesse azioni.
Il non detto del dialogo tra Oppenheimer e Einstein solletica la paranoia di Lewis Strauss.
Infine, a mano a mano che il tempo passa gli Stati Uniti sono sempre più ossessionati dal pericolo sovietico e dalla corsa alle armi.
Jean Tatlock, amante di Oppenheimer, è vittima di ossessioni meno definite rispetto a quelle dei personaggi principali ma non meno devastanti.
Il ladro
C’è un altro dettaglio che caratterizza i film di Nolan: la presenza di un ladro, reale o metaforico.
In Following, il romanziere rubava nelle case altrui. In Memento, l’assassino della moglie del protagonista era un ladro. In The Prestige, i due maghi cercavano di rubarsi l’un l’altro il segreto del “teletrasporto”.
In Inception, il protagonista Cobb ruba segreti dalle menti delle sue vittime.
In Interstellar la dilatazione del tempo dovuta al buco nero Gargantua ruba al protagonista la possibilità di vedere crescere i suoi figli.
Anche Robert Oppenheimer è un ladro, a suo modo. Oltre a essere ricordato come il padre della bomba atomica è stato definito il Prometeo Americano. Al pari di Prometeo del mito greco, che rubò il fuoco agli Dèi per donarlo all’umanità così da aiutarla a difendersi dai pericoli del mondo primordiale, Oppenheimer ruba il fuoco dell’atomica e lo dona all’umanità, nella vana convinzione di dare inizio a un’era di pace per il mondo intero.
E come Prometeo, anche lui si ritrova incatenato a una roccia, a un macigno. Quale sia possiamo soltanto immaginarlo per le tre ore del film, finché Nolan non posiziona l’ultimo pezzo del puzzle e allora ciò che nel primo tempo appariva slegato, superfluo, incomprensibile, acquista un senso.
Quasi tutto, in realtà.
Anche Nolan fa casini: i difetti di Oppenheimer
Oppenheimer non è un capolavoro, anche se vuole esserlo.
Il maggior difetto si cela nella quantità di personaggi introdotti, quasi tutti scienziati.
Soltanto nei primi venti minuti di film si avvicendano Albert Einstein, Neils Bohr, Isaac Rabi, Karl Heisenberg, Kurt Godel… Il problema è che, preso dalla foga di affascinare con il montaggio spericolato, Nolan dimentica che ogni personaggio, primario o secondario, va presentato in modo da restare impresso allo spettatore, altrimenti questi si alza e se ne va.
Gli sarebbe bastato osservare come ha agito brillantemente James Cameron in Titanic: chi non ricorda l’ufficiale che dopo l’affondamento del transatlantico cerca i sopravvissuti in mare rammaricandosi di aver “aspettato troppo“? O i due anziani che aspettano la morte abbracciati nel letto mentre l’acqua allaga la cabina? O la passeggera della terza classe che, consapevole di non poter salvare i suoi figli, li addormenta raccontando loro una fiaba? Queste scene di Titanic sono brevi parentesi nella storia di Jack e Rose, eppure sono costruite così bene da far spiccare i personaggi con poche parole o uno sguardo.
Nolan non sa compiere queste magie, per cui la maggior parte degli scienziati che costellano la vita di Oppenheimer e popolano Los Alamos restano appena dei nomi che svaniscono nell’oblio subito dopo. Si salvano Einstein, Rabi e Bohr.
Enrico Fermi, che pure ebbe un ruolo nel Progetto Manhattan, è per lo più assente; nell’unica scena in cui Oppenheimer gli parla brevemente è visibile quanto la cometa di Halley a occhio nudo. Considerando che alcuni dei personaggi secondari si riveleranno essere fondamentali per alcuni snodi della trama, l’incapacità di Nolan di evidenziarli nei pochi secondi di girato che riserva a ognuno di loro inficia la potenza di qualche colpo di scena, che scivola addosso senza suscitare particolare emozione.
Teller, invece, emerge dalla massa solo a partire da un certo punto in poi.
In Oppenheimer c’è poca azione: è vero. Per la maggior parte assistiamo a dialoghi intorno a un tavolo. Non è un difetto in sé. Abbiamo già visto svariati film girati come un dramma teatrale, a partire dall’indimenticato “Nodo alla gola” (1948) del maestro del giallo, Hitchcock, per arrivare alle sceneggiature di Aaron Sorkin premiate con l’Oscar (si veda The Social Network).
Purtroppo Nolan non ha preso appunti da Sorkin, perciò molti dialoghi del primo tempo del film sono un mero stratagemma per veicolare informazioni in modo piuttosto freddo, come accadeva già in Tenet.
L’emozione, l’empatia, mancano per quasi tutti i primi sessanta minuti di film, durante i quali si prosegue a guardare Oppenheimer più per fiducia verso Nolan che per la capacità del regista di farci partecipare alla storia, oltre che capirla.
Una delle poche battute del primo tempo che davvero restano impresse la dice Oppenheimer a Lawrence:
“Quando ero bambino credevo che trovando il modo di combinare la fisica e il New Mexico, avrei risolto la mia vita.”
La riscossa di Nolan
Per fortuna, nella seconda ora di film la musica cambia. Nolan prende in mano la situazione, a cominciare dalla intensa preparazione del Trinity Test, l’esplosione di prova effettuata nel deserto del New Mexico.
Il conto alla rovescia ansiogeno prelude a una sequenza che è destinata a restare nella storia del cinema.
Ma siamo solo all’inizio dello spettacolo che regalerà Oppenheimer!
Negli ultimi novanta minuti il film sorprende, coinvolge ed entusiasma. Nolan migliora i dialoghi e inanella una serie di sequenze che si contendono la palma di “Best Moment of”, con trovate narrative di grande impatto emotivo e mentale, che danno, finalmente, profondità allo scienziato e all’intera vicenda.
La scena nella palestra, il dialogo con Truman, il pressing della commissione su Oppenheimer, la metamorfosi di Strauss, fino all’ultima, memorabile sequenza che corona la pellicola con un degno finale.
Anche il secondo tempo non è esente da qualche difetto, sia ben chiaro: mi riferisco a fatti menzionati nei dialoghi senza essere mai stati mostrati e alcune connessioni mancanti. La moglie di Oppenheimer, per esempio, pare saperne più del marito su certe cose ma non viene spiegato come lei lo abbia appreso o capito, dato che per quasi tutto il film è relegata sullo sfondo.
Nonostante i piccoli inciampi, Oppenheimer spiega le ali e si dimostra per quello che è: una bomba atomica. No, non è una battuta.
Il concetto di “cinema” per Nolan
Nolan ha l’abitudine di trasformare ogni suo film nella rappresentazione di ciò che il film stesso racconta, di farlo vivere al pubblico come un’esperienza, emotiva e concettuale.
È ciò che dovrebbe fare ogni buona storia.
In Memento, il montaggio “invertito” ci fa sperimentare la stessa amnesia dei ricordi a breve termine di cui soffre il protagonista.
In The Prestige, l’intero film è un gioco di illusione, costruito sulla sequenza dei tre atti: “promessa, svolta e prestigio”, come da titolo.
Inception innesta nello spettatore una convinzione, la quale si riflette nella diversa spiegazione che ciascuno dà del finale del film. (Nel momento in cui Nolan afferma che a Cobb non importa più se stia sognando o meno, avendo riabbracciato i figli, siamo nel campo dell’indeterminazione, pertanto ogni spiegazione del finale è vera e falsa allo stesso tempo. Con buona pace di Michael Caine.)
Interstellar, da par suo, è uno spettacolare viaggio nello spazio. Le riprese vertiginose creano la sensazione di attraversare un wormhole, poi un buco nero. Nolan ci scaraventa nel muto spazio vuoto, ad anni luce dalla Terra.
Dunkirk ci fa riemergere dalla visione come se avessimo preso parte all’operazione di guerra.
Anche Oppenheimer rispetta la tradizione nolaniana: è confezionato come una bomba atomica.
– Una volta usata [la bomba] la guerra nucleare e forse ogni guerra diventa impensabile.
– Finché non ne faranno una più potente.
Nolan assembla l’ordigno nei primi novanta minuti con freddezza e perizia, un tassello dopo l’altro (a parte qualche vite non ben fissata). I tecnici che compongono la bomba simboleggiano il regista intento a montare il film e quando Oppenheimer avvia il conto alla rovescia nella sequenza del Trinity Test, anche Nolan sta facendo partire il conto alla rovescia della sua bomba filmica.
Al contrario del gadget atomico, però, la bomba di Nolan non deflagra nel Trinity Test ma un’ora dopo, nel finale, al termine di un lungo countdown narrativo, scandito da dialoghi serrati, accuse, rinfacci e allucinazioni lynchiane senza soluzione di continuità, fino all’ultimo colpo di scena.
Lascia poi il pubblico a leccarsi le ferite nella penombra dei titoli di coda. Sta agli spettatori l’onere di curarsi gli effetti post atomici, cioè post visione del film.
Oppenheimer è il The Day After delle generazioni attuali
Forse i nati negli anni ’60 e ’70 ricordano ancora The Day After, il film con Jason Robard e Steve Guttenberg oggi finito nel dimenticatoio.
Uscito del 1983, mentre era in corso da decenni la Guerra Fredda tra USA e Unione Sovietica, The Day After immaginava lo scoppio di una Terza Guerra Mondiale e la caduta di testate nucleari sovietiche sul territorio degli Stati Uniti: una Hiroshima americana, insomma.
Il film narrava le fasi precedenti l’inizio della guerra, l’olocausto nucleare e la sorte dei sopravvissuti, in una lenta discesa nella disperazione tra spasmi di dolore e angoscia.
Si entrava nel cinema sorridenti, curiosi di vedere il film di cui parlava il mondo intero, e si usciva dalla sala turbati, muti, con lo sguardo perso nel vuoto: lo stesso che esprime oggi Cillian Murphy in Oppenheimer.
Oppenheimer spiega alle generazioni attuali, Millennial e Generazione Z, ciò che The Day After spiegò ai loro genitori e nonni: che la vita non è un videogioco e che a furia di “giocare” con il nucleare si può distruggere il mondo intero. Che forse la curiosità, il desiderio di esplorare, di conoscere, deve fermarsi laddove sopraggiunge l’ebbrezza del potere, perché questa può causare solo morte e distruzione.
La storia di The Day After era inventata e ambientata nel futuro, mentre quella di Oppenheimer è accaduta davvero.
Due vere bombe atomiche sono cadute su Hiroshima e Nagasaki, uccidendo centinaia di migliaia di civili innocenti, a seguito di una decisione presa a tavolino da attempati funzionari del governo americano, che hanno scelto le città da distruggere come si sceglie una pietanza dal menu del ristorante.
Nolan ha buon gioco nel mostrare il cinismo dei politicanti e dei militari americani. E come il lampo delle testate nucleari di The Day After si stampò negli occhi del pubblico di quarant’anni fa, il lampo emesso dalla bomba nel Trinity test di Oppenheimer si imprime negli occhi del pubblico di oggi.
Lo vediamo anche in Cillian Murphy: dal momento del test, fino al finale del film, gli occhi sbarrati dell’attore irlandese risplendono di quella stessa luce che lo scienziato cui presta il volto ha avuto l’ardire di ammirare a occhi nudi, come a voler sfidare gli Dèi.
Oppenheimer è un atto di accusa verso gli Stati Uniti
Ci voleva un non americano come Nolan per rinfacciare agli USA le loro colpe, per mostrare senza sconti né pietismi la brama di potere che nasce dalla possibilità di controllare le più distruttive forze della natura.
Si è spesso parlato del timore degli scienziati riguardo alla possibilità che un’esplosione atomica potesse incendiare l’atmosfera e bruciare l’intero pianeta in una fiammata, ma Nolan dà consistenza a quel momento, mette a nudo l‘estrema incoscienza degli scienziati e dei militari impegnati a tal punto nel progetto Manhattan da correre il rischio di distruggere ogni cosa per contrastare una minaccia che era poi meno reale di quanto lo fosse nelle loro menti ossessionate.
L’orrore, scientifico, umano e politico, di cui è imbevuta la vicenda narrata da Oppenheimer è talmente enorme che ci si chiede come è possibile che il Giappone abbia instaurato buoni rapporti con gli USA dopo Hiroshima e Nagasaki, invece di trincerarsi dietro una gelida indifferenza. Ma la ferita è ovviamente ancora aperta e forse è meglio che i giapponesi si risparmino la visione del film. Perché, come detto, Oppenheimer è una bomba che esplode nel cuore, nella mente, nella coscienza degli spettatori ed è difficile restare indifferenti quando si comprende la potenza, il significato metaforico del film e delle gocce di pioggia che ricorrono più volte nelle scene e nelle visioni di Oppenheimer.
Nolan, insomma, con tanto mestiere, creatività e una buona dose di coraggio, regala un biopic “giallo” che pur zoppicando per i primi sessanta minuti, si risolleva a tal punto nelle ultime due ore da sembrare quasi un altro film, capace di far dimenticare o comunque perdonare i difetti del primo tempo.
Gli Oscar 2024 segneranno il trionfo di Nolan o si riveleranno una beffa?
Che Cillian Murphy meriti l’Oscar come migliore attore protagonista è innegabile. Il suo viso sbarbato e delicato, gli occhi cerulei e candidi lo rendono già molto somigliante al vero Oppenheimer, ma è lo sguardo perennemente smarrito in un altro mondo, con il lampo della bomba stampato sulle pupille, che calza alla perfezione con il suo ruolo. L’attore sa mostrarsi arrogante nella prima ora di film, quando prende decisioni senza riflettere sulle conseguenze, al punto da farci simpatizzare per Lewis Strauss; traballante nella seconda ora; vulnerabile, umano e “prometeiforme” nell’ultima ora di spettacolo.
“Lei è l’uomo che ha dato a loro il potere di distruggere sé stessi, e il mondo non è pronto”.
Robert Downing Jr., reduce da dieci anni passati nella corazza di Iron Man, firma l’interpretazione della sua carriera, rivelandosi l’altra bomba piazzata da Nolan nel film. Ma in fondo, se conoscete le traversie dell’attore e avete notato l’intensità espressiva evidente nelle sue ultime battute in Avengers: Endgame, avevate già intuito che il ruolo di Lewis Strauss, politicante ex venditore di scarpe e fisico autodidatta con fantasie paranoiche, avrebbe riservato sorprese. L’interpretazione dell’ex Tony Stark reclama l’Oscar per migliore attore non protagonista.
Bravo pure Jason Clarke, adeguatamente odioso nel ruolo del principale inquisitore di Oppenheimer.
Infine complimenti a Matt Damon, che per una volta non deve essere salvato come in The Martian, Interstellar e Salvate il soldato Ryan.
I personaggi femminili sono purtroppo sempre penalizzati nelle opere di Nolan: il regista li destina a ruoli di sostegno, come l’Arianna di Inception, nei ricordi del protagonista (Memento, Inception) oppure sullo sfondo. È questo il caso di Kitty, la moglie di Oppenheimer. Tuttavia, Emily Blunt approfitta delle poche battute riservatele dal copione per affermare il proprio talento e lanciare sguardi ferini senza pietà, chiamando almeno la nomination per migliore attrice non protagonista.
Non pare invece particolarmente azzeccato Tom Conti nel ruolo di Einstein, per la scarsa somiglianza con l’originale. Nonostante ciò, il personaggio è animato bene e, sebbene compaia poche volte, le scene e i dialoghi che lo coinvolgono sono tali da permettergli di farsi ricordare.
Ci sono altri aspetti del film che valgono la nomination o l’Oscar, come gli effetti visivi, la fotografia, il trucco, la regia di Nolan, il film. E ovviamente il montaggio: orsù, Academy Awards, premia questo povero operatore che ha attraversato notti insonni per assemblare il pazzo puzzle di Nolan.
La colonna sonora di Oppenheimer
Non è da meno la musica. Ludwig Göransson, alla sua seconda collaborazione con Nolan, dopo Tenet, si dimostra particolarmente in sintonia con Oppenheimer.
Il brano Can You Hear The Music, dal ritmo ternario, le cui note accelerano e precipitano a spirale come un uccello ferito, rappresenta il moto vorticoso degli elettroni lungo gli orbitali atomici, quegli atomi che la fissione spezza per sprigionarne l’energia, e vale da solo la visione del film.
Spiccano anche i bassi prodotti in modo poderoso e invadente: con gli strumenti, con i battiti e i boati che irrompono fra le scene, quasi a caso, ad anticipare o ricordare lo scoppio della bomba, con il pestare dei piedi sul pavimento.
La scelta è senz’altro voluta, perché i bassi insistiti, rimbombanti, hanno un effetto ansiogeno nella gente, ancor più se abbinati a un ritmo incalzante.
Anche per Göransson si prevede la nomination per migliore colonna sonora.
Il doppiaggio
Infine un plauso anche al doppiaggio italiano, diretto da Marco Mete. Sia la scelta delle voci che le performance dei doppiatori sono di alto livello.
Benché Cillian Murphy abbia un bel timbro naturale, caldo e profondo, il doppiaggio di Simone D’Andrea si attaglia alla perfezione all’attore.
Conclusione
Nonostante i difetti, Oppenheimer segna il gran ritorno di Nolan dopo l’algido Tenet.
Il regista britannico ha radunato un cast stellare ed è ragionevole aspettarsi per la troupe un destino migliore di quello toccato a Robert Oppenheimer, assediato per l’intero film dalla pioggia che invece di lavare le sue colpe si tramuta in quel fuoco che lui stesso ha rubato agli Dèi.
Magari, per l’Oppenheimer di Christopher Nolan le gocce d’acqua che piovono sulla pozzanghera, sulla finestra e sul lago togliendo il sonno a Cillian Murphy si tramuteranno in una pioggia di Oscar.
Per la serie: Quando i fisici conobbero il peccato.
Voto personale: 9+
Curiosità
- Cosa significano le scritte “fissione” e “fusione” che compaiono all’inizio del film e basta? Fissione e fusione sono i due metodi noti al tempo di Oppenheimer per sprigionare le forze primordiali della natura, le stesse che animano le stelle. Oppenheimer costruisce la bomba atomica usando la fissione, ma in seguito sconsiglia lo sviluppo della bomba a fusione, molto più devastante della atomica. Entra quindi in conflitto con Lewis Strauss, sostenitore, insieme a Teller, del progetto per la costruzione della bomba a fusione, la bomba H. “Fissione“, pertanto, indica Oppenheimer, mentre “Fusione” si riferisce a Strauss.
- Anche se è mostrato all’inizio del film, non è accertato se Oppenheimer abbia davvero tentato di avvelenare Blackett iniettando cianuro di potassio nella mela sul tavolo. Il nipote di Oppenheimer ha difatti non gradito questa scena, definendola non aderente ai fatti.
- Quando Bohr chiede a Oppenheimer: “Per costa sta la J?”, riferendosi alla J nel nome J. Robert Oppenheimer, questi risponde: “Niente”. Invece la J sta per “Julius”.
- La lezione tenuta in olandese da Oppenheimer non significa niente, perché Nolan ha tagliato la scena qui e lì per accorciarla, rovinando il senso delle parole.
- Prima di lavorare nel progetto Manhattan, Oppenheimer diede un contributo alla comprensione dei buchi neri: fu tra i primi a chiedersi come moriva una stella.
- La bomba di test viene chiamata Trinity, in riferimento alla Trinità cristiana: per Oppenheimer, affascinato dalle religioni, l’atomica sarà una terribile rivelazione della potenza divina.
- A un certo punto, a Los Alamos, Oppenheimer dice che la bomba (del Trinity test) esploderà entro un’ora e cinquantotto minuti. Infatti l’ordigno scoppia a un’ora e cinquantotto minuti di pellicola.
- Leggi qui altre curiosità sul film Oppenheimer
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Visto l’altro ieri. Bellissimo, Cillian Murphy e RDJ super!!
Ottimo! Grazie per il commento 🙂